” GRAZIE MAESTRO !!!”

( venerdi 2 dicembre 2016, ore 00,10)
2 dicembre 1976 – 2 dicembre 2016, nel quarantennale della sua morte, resta per l’eternità la gratitudine del popolo laziale a quest’uomo che portò il primo scudetto nella storia della Lazio. Il “Maestro” vive e vivrà per sempre nei cuori biancocelesti.

Tommaso Maestrelli, uomo d’onore e d’amore come una dottrina filosofica che apre gli occhi e cambia i cuori, un credo morigerato ed anacronistico che sopravvive però all’evolversi del tempo e dei modi e delle mode. Un’immagine gentile (nell’accezione caratteriale del termine, di un atteggiamento rispettoso e composto) che fa da contraltare alla vanagloriosa spocchia delle voci moderne, in cui ci si impone sgomitando simile a lui, nessuno mai: dalla sua alzata di spalle in risposta al costume tipicamente italico dove il giudizio è una condizione essenziale ed esistenziale dell’essere il critico dunque sono, lo scetticismo come espressione senziente dell’umanità alla sua pacata impresa nel mutare le opinioni altrui ché non è facile ammettere i propri errori, ma stavolta la confessione ha un sapore dolce e salvifico che trovano in lui il barlume di speranza. Una battaglia vinta, per chi ha vissuto la guerra e la prigionia fisica, prima ancora che di un ideale. Un carattere elegante e composto e temprato dalla straordinaria umiltà, una vita vissuta in punta di piedi come un soffio lieve che accarezza i saldi cardini su cui si regge una persona intera: gli affetti, la famiglia, il calcio. L’artefice del primo scudetto ma anche di un nuovo modo di vivere ed intendere la Lazio, che con il suo arrivo sulla panchina biancoceleste ne ha rivoluzionato gli orizzonti: il titolo conquistato ed i successi biancocelesti furono il modello di una persona che rifiutò ogni esagitazione ed estremismo, ogni vuoto giro di parole, ogni connubio sgarbato. Sono passati 40 anni dal funereo giorno 2 Dicembre 1976: quella data che di tristezza e mestizia farà il minimo comune denominatore delle alterne vicende laziali, e a cui si ridurrà tutta la gioia: ad un paio di occhi rivolti verso il cielo, a scorgere, tra la forma delle nuvole o la posizione delle stelle, il volto del Maestro. Perché lui è rimasto il faro di un popolo ottenebrato, l’uomo più amato: l’anima che poco prima di librarsi in volo, quasi fosse il suo lascito, la morale donata in eredità, conquistò la salvezza a Como all’ultima giornata, rimontando due gol ai lariani e regalando una nuova speranza al gruppo laziale che si era smarrito senza la sua guida. Se ne è andato in un sussurro una
sofferenza da lui taciuta a labbra increspate, ma espressa da coloro che solo grazie alle doti
umane di Maestrelli seppero esprimere il meglio di sé.
Tommaso Maestrelli arrivò dal Foggia retrocesso e con un passato a tinte giallorosse unica attenuante, era la Roma del 1951, la squadra capitolina che per prima conobbe il limbo della Serie B. Tanto bastò ad un gruppo di tifosi chiamato “Coscienza della Lazio” per chiederne l’immediato allontanamento e il ritorno dell’ex Juan Carlos Lorenzo. Maestrelli fu però come balsamo lenitivo per le ferite brucianti degli animi biancocelesti, e saturò con 49 punti (tanti furono quello guadagnati sul campo da Chinaglia e compagni) e paterna pazienza situazioni lacerate dal nervosismo che serpeggiava fra i giocatori. Il campionato di Serie B finì con la trionfale promozione: oltre al valore sul rettangolo di gioco fu merito, finalmente riconosciuto, dell’allenatore. Per lui e solo per lui ci si esprimeva in campo: come raccontava Luigi Martini, qualsiasi problema dei giocatori poteva essere affrontato a casa Maestrelli, con un delizioso pasto cucinato dalla moglie Lina. A fine pranzo o cena, a tavola, tutti i dissapori erano risolti. E c’era ancora molto di più: c’era il calcio, c’era un gioco plasmato sulle nuove tendenze tattiche che circolavano in Europa, e c’era lo scudetto. Tutta Italia suo malgrado dovette inchinarsi alla Lazio, e soprattutto a Maestrelli. Poi una fitta all’addome e un malore contro il Bologna, le lacrime dei giocatori in una partita contro il Torino, di indimenticabile silenzio: il Maestro è malato (gli viene diagnosticato un tumore al fegato con metastasi all’intestino) e ha poche settimane di vita l’aberrante responso medico. Ma la vita fa la riverenza alla bontà dei giorni vissuti dall’allenatore, capace di toccare così tante e diverse esistenze: così atei e miscredenti pregano per il miracolo, e Maestrelli riapre gli occhi. Li terrà poi fissi su di un binocolo che restituisce, tanto ingrandite da dar l’illusione di poterle toccare con mano, immagini di un campo solo spazialmente lontano. È la medicina del cuore, che assieme alla cura del corpo lo fa tornare sulla panchina della Lazio. Per salvarla da sé stessa e da una di quelle stagioni di sofferenza che inevitabilmente ne ammantano la storia. Proprio qui vive il suo ricordo, l’affetto di chi lo conobbe e non riuscirà a dimenticarlo: dopo Como, è l’eternità ad accoglierlo. E tutta Roma ne piange la scomparsa e il suo estremo sacrificio per i colori biancocelesti una chimera impossibile da replicare.