Attributi, questi sconosciuti.

Vuota. Questo è l’aggettivo che userei per descrivere la Lazio di ieri: una squadra vuota e senza attributi. Non è la prima volta negli ultimi anni che la Lazio passa da prestazioni che fanno pensare che possa battere chiunque a prestazioni che fanno pensare l’esatto contrario.

Con Inzaghi, con Sarri, con il 3-5-2, con il 4-3-3, con ampio turnover, con la squadra titolare, la Lazio alcune volte scompare. Non se lo spiega Parolo, che è stato nello spogliatoio per sei anni, e adesso inizia a chiederselo anche Sarri. “Questa squadra è cosi” è stato detto al tecnico toscano da un membro della rosa a inizio stagione. Questa è una cosa gravissima, perché sta a significare che i giocatori sono perfettamente consapevoli di questi blackout, ma che non hanno abbastanza attributi per combatterli. È un limite mentale che segue la squadra da diverso tempo.

Lo scorso anno, sempre a inizio stagione, registriamo il 3-0 a Marassi contro la Sampdoria, tre giorni prima della grande vittoria sul Borussia Dortmund in Champions. Qualche settimana più tardi, ben cinque giorni dopo aver battuto lo Zenit, registriamo il 3-1 in casa contro l’Udinese, per non parlare della sconfitta a Bologna di Febbraio scorso, maturata dopo il rigore sbagliato da Immobile. L’anno prima, continua ad essere inspiegabile la sconfitta a Lecce nel bel mezzo della corsa scudetto. Anche se la ciliegina sulla torta rimarrà sempre la sconfitta a Ferrara contro la SPAL tre giorni dopo aver battuto l’Inter di Spalletti a San Siro e prima della sconfitta ancor più clamorosa all’Olimpico contro un Chievo già retrocesso, nella stagione 18-19.

Adesso tocca al Comandante cercare di fare qualcosa per invertire questa brutta tendenza, dato che la società ha deciso di puntare (e anche forte) su di lui per una ragione. D’altro canto, i giocatori chiave, che sono l’unica vera costante di tutte queste brutte figure, devono andare incontro al mister e ai tifosi. Non è più accettabile assistere a debacle come quella di Bologna.